Un Luogo Comune

per non dare nulla per scontato

Archive for ottobre, 2011

15 ottobre
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Preghiera

Roma, quindici ottobre 2011. Tantissime persone si riversano nella capitale per manifestare contro alla crisi, contro alla risposta che è stata data alla crisi dai potenti, contro alla logorìa di questo decennio. La cosa migliore ce poteva capitare: un sintomo di vita in un mondo morto, zaino in spalla e via, a ricostruire ciò che più è andato in crisi: l’uomo. Nella prima mattinata tutto a posto, si cammina, si sfila, si balla, si sta in allegria, si sta insieme, armati solo di domande. Poi ecco quello che non doveva capitare. Le ali a destra e a sinistra del corteo corrono nelle strade, al centro c’è fibrillazione, sta succedendo qualcosa di sbagliato. Dei bastardi incappucciati si sono uniti, non hanno urlato, non hanno parlato, hanno solo fatto. Vetrine martellate, auto esplose, feriti in strada, la polizia s’innervosisce. Il resto è caos, e il caos non si può raccontare. Il caos c’è e basta e non ha giustificazioni, se non quella della sua presenza stessa, che non fa che creare un circolo vizioso senza fine. Volti senza nome, o meglio felpe nere senza contenuto, provenienti da nessun posto , bastardi senza vita, pagati da chissachì per chissà quale fine, hanno rovinato tutto. Hanno massacrato gli intenti di un popolo, hanno fatto fare la solita figura di merda all’Italia e la cosa più sconcertante è che l’hanno fatto senza alcun motivo. Io mi chiedo come può l’uomo, davanti a qualcosa di terribile e drammatico come il periodo che stiamo vivendo, rispondere senza pietà. Come 100 bastardi riescono a fare quello che fanno senza ricordarsi di essere uomini, prima che black bloc. Questo è il dramma, quello della fragilità dell’uomo. E davanti a questo dramma non posso che pregare, che chiedere l’aiuto del Dio degli spietati, il Padre di tutti i bastardi, colui che ha dato la vita anche per loro, il Signore dei cortei, il Cristo delle violenze , lo Spirito del non-senso. “Signore, perdonali e aiutami a perdonarli, donami questa grazia. Perché non sanno quello che fanno”

09 ottobre
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Ore da 57 minuti.

Mi alzo alle 6:31, non so se quell’uno è lì per portarmi fortuna o perché sfoga il mio ipotetico e insano disadattamento sociale represso, comunque la mattina mi piomba nelle orecchie con un fottutissimo “bip-bip” crescente. Prendo con una manata i vestiti sulla sedia e via nel bagno. Mi siedo per terra, mi vesto e mi lavo con una lentezza da vecchio. Ogni tanto riemergo dal torpore e alzo gli occhi all’orologio, minchia sono già le sette! Scatto giù dalle scale con i capelli spettinati e mi scaldo il latte finché non è a temperatura ambiente. Ci sbatto dentro del caffé qualche cereale, oppure biscotti della mulino bianco confezionati in tenere confezioni che mi ricordano che faccio colazione da solo e non allegramente con la mia famigliola carina carina. Nel frattempo che mastico l’ultimo boccone mi sto già allacciando le scarpe, pettinando i capelli con la mano  e lavandomi i denti: comunque non riesco ad arrivare puntuale fuori casa dove mi aspettano il Bounty e il suo scazzo mattutino. Prendo qualche pullman e comincio a svegliarmi: 8, 10, funicolare in alternanza a 8, 1, eccetera. Gli alberi sfrecciano fuori dai finestrini, Città Alta è impaziente. Il Sarpi respira, ormai affannatamente, ma respira. Il tempo passa, fuori dall’aula gli alberi s’ingialliscono, la luce è più fioca, mi perdo e mi ricerco frettolosamente in ore da cinquantasette minuti. Qualcuno finanzia le macchinette, qualcuno si annega nel tè o nella piscina del seminario, la lavagna sniffa gesso e ormai è dipendente. I turisti vanno in terrazza, tutto è maledettamente confuso. Ma ecco: fuori dalla finestra il panorama, la pianura padana si sveglia piano piano, Bergamo sta già lavorando in qualche cantiere, il sole è lontano, ma più vicino che mai. Sento il rumore delle foglie che cadono, sento i discorsi dei poveri, sento che sono vivo, in ore da 57 minuti.