Un Luogo Comune

per non dare nulla per scontato

28 ottobre
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Amor, amor, amor

“Non hai nessuna scusa”. Disse la ragazza dai capelli belli e dal trucco pesante al ragazzo senza pretese. Poi le uscii direttamente dal midollo spinale un “bastardo”. Vocativo pronunciato con una particolare attinenza all’espressione, con una prurigine ed una sincerità che solo chi vorrebbe ammazzare può permettersi. Stringeva i pugni e aveva tutti i muscoli magri in tensione. Non era una di quelle che si emozionano, però credeva nell’amore. Cioè, così diceva quando esprimeva tutta la serietà di sentimenti che aveva in corpo. Quando rispondeva all’unica pallida domanda con una minima pretesa di importanza che si pongono le ragazzine su ask.fm, “credi nell’amore?”,  osava rispondere di sì. Non è che avesse esperienze diverse dal limone nei locali del centro o di Orio al Serio, nulla di più del ragazzo “serio” ogni tanto: ogni suo sentimento veniva riassunto con sopravvalutata pertinenza dalle frasi sulle borse di subdued. Però, di fronte a quella domanda che l’anonimo iPhone le notificava con inattaccabile puntualità, sentiva muoversi come una corrispondenza tra il concetto di amore e le esigenze più profonde del proprio cuore.
Lui da parte sua ci aveva passato davvero tanto tempo con lei. Per questo era sconvolta dalla verità che all’improvviso aveva sentito uscire dalla sua bocca. La turbava il vuoto tra l’amara concretezza delle parole di non-amore che lui le aveva detto poco fa ed il ricordo estivo di tanti fatti che, quando li aveva vissuti, continuavano a confermare nella sua mente l’amore assoluto che lui le prometteva. Fatto sta che lui ora si divertiva a fare il ragazzo che si “gode” la giovinezza (dove il termine “godere” è inteso in senso essenzialmente sessuale) e si crogiolava nella nuova figura di stronzo spezza cuori che si era trovato a disegnarsi addosso. E dire che erano anche andati in vacanza insieme.
Tutte queste immagini di presunta pienezza sentimentale passata le bombardavano il cervello. Si mise a piangere. Non piangeva per debolezza, né perché era ancora innamorata del bel bastardo, né perché l’aveva trattata male: erano tutte cose con cui sapeva fare i conti. Piangeva essenzialmente perché questa contraddizione tra passati densi di gesti fino allora considerati amorevoli ed un presente fatto di nuda realizzazione del falso la mandava in crisi. Si accorse che dell’amore non sapeva nulla e che se nulla sapeva e nulla provava, l’amore nulla era. E se l’amore era nulla il suo cuore anelava ad altrettanto nulla. Un gioco di nulla che si alternavano nei suoi occhi e le cadevano sulle guance.

Il primo inverno congelava il cruscotto della macchinina nuova nuova che i suoi diciott’anni ed il benessere finanziario dei genitori le avevano permesso. La condensa rifletteva i lampioni del centro e lei era ormai sicura che il mondo fosse destinato a finire con qualche gossip sulla loro rottura e la certezza che aveva dato tutta sé stessa ad un essere di cui aveva  soltanto ribrezzo. Pensò che l’aveva tanto amato.
Poi, come un brivido, le salì un sospetto lungo la schiena. Si volse come se qualcuno l’avesse toccata sulla spalla; ma di là c’era solo la fontana di piazza Pontida che continuava a sputare acqua nel silenzio della domenica sera. Allora capii: lui la voleva solo per un rapporto fisico continuativo, ma anche lei non aveva fatto altro che dargli organi sudati, la situazione sentimentale di Facebook e spietate frasi da serie tv. Capii che se l’amore c’era, era una cosa completamente diversa: fino ad allora non aveva fatto altro che mentire e rotolarsi soddisfatta nelle menzogne, come una scrofa nel fango. La vacanza di quell’estate era solo una menzogna a pagamento. La sua vita da un po’ di tempo a quella parte era una menzogna ben raccontata. E in fondo, fino ad allora, aveva sempre finto di non saperlo.
Travolta da questi pensieri, con il cellulare che vibrava nella tasca della giacca in macchina, seduta sull’asfalto ed appoggiata ad un pneumatico posteriore, non si accorse che la notte le ghiacciava le mani e che il freddo pian piano le devastava i polmoni. Forse quella notte fece troppo freddo, forse aveva pianto troppo, forse era troppo sola. Lanciando l’ultimo sguardo alla fontana realizzò che ormai era troppo tardi per provare ad amare e che aveva davvero, ma davvero sonno. Chiuse gli occhi.

A dire il vero

14 ottobre
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Le foglie

(per la serie: canzoni senza musica, se volete ascoltarla fatemi un fischio e porto io la chitarra)

Non sarà poi niente

seguire con passo pesante

i capelli tuoi rossi,

che dal mattino sono mossi.

E gentilmente cadono le foglie.

 

Non sarà poi  molto

cercare spesso il tuo volto,

sguardi soltanto accennati

per giorni ad un tratto perduti.

Ed in silenzio cadono le foglie.

 

E cadono le foglie sull’asfalto

ed il nostro vivere è un salto,

chiederò al tuo sguardo “Non morire”,

ma non c’è più niente da capire.

 

Non sarà poi tanto

avere quasi per incanto

i tuoi occhi ed i tuoi sospiri,

poi carezze come fiori.

E gentilmente muoiono le foglie.

 

E cadono le foglie sull’asfalto

ed il nostro vivere è un salto,

chiederò al tuo sguardo “Non morire”,

ma non c’è più niente da capire.

 

E cadono le foglie dappertutto

ed ogni giorno passa ed io aspetto,

anche questo autunno dovrà finire

e non c’è più niente da capire.

E non c’è più niente da capire.

 

09 ottobre
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Il loro viaggio porta un po’ più lontano

Avete notato che le strade cominciano a fare le frettolose? Che gli alberi piagnucolano, sempreverdi e sempremorti? Io è un po’ che colleziono occhiate alle foglie arancioni, faccio venire il mal di testa ai lampioni, che s’accendono tutti imbarazzati. Mi confondo le emozioni, mi specchio nella carta stagnola, non mi ricordo quella parte lì della traduzione. Non ti devi giustificare.
L’unica alternativa alla finestra aperta sulla nebbia è camminare. Camminare assieme. Che bello, pensaci. Non siamo soli a prendere a pugni l’autunno. Miliardi di chilometri in autobus infreddoliti. Miliardi di volte mi hai chiamato per nome. Solo ora capisco come mi chiamo.

Lunga vita alle pozzanghere,
Bergamo capitale europea della provincia.
PICTU (52)

28 settembre
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Rumori per Brescia

A te,

telefono spagnolo

dalla faccia distrutta

e dalle occhiaie nascoste;

 

a te,

discepolo delle nove

della Domenica;

 

a te,

scomunicato errore

nel rumore del treno,

graffito frammentato.

 

70

20 agosto
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Osservare esausto

È facile vivere così.

Io, solo in mezzo alla gente, chiuso nel mio salviettone, con la croce avvolta intorno al  cuore, ascolto il profumo della  vostra cannabis e mi lascio deridere da tutta la mia immaginazione. Mi lascio deridere da voi, società delle 16:30, lasciata ad asciugare nelle fogne di una  città che ben diversa sarebbe, se solo non fossi  solo.
Non siete contenti della spremuta di confusione che mi avete estratto dalle punte dei capelli? Applaudite alla banda delle cause perse. Io del mare non ne posso fare a meno, ma la spiaggia la dovrei proprio incendiare, prima che sia troppo tardi, prima che cambi la luce,  prima che m’innamori di  voi.

Ho perso  De Gasperi in mezzo alla piazza; vorrà dire che mi metterò a succhiare tutte le caramelle del paese. E voi non potrete impedirmelo coi vostri riff ripetuti e la vostra  affettività marziale. Ma quale gelateria? Ma quale introspezione?!  È solamente esistere pallido sui muri, malato di  morte. È la sacrosanta e violenta libertà. È l’iconoclastica devastazione del  beach-club! Otranto sommersa dalle onde! Flutti eravate e flutti tornerete! E non c’è Protezione Civile che regga, c’è solo la mia preghiera che vi rovescia il centro storico. E Dio sorride della mia coscienza devastante, il Dio degli occhiali da sole, del proibizionismo e di tutti i santi. Dio sorride e nulla vi accade.

A voi non vi accade mai nulla, siete ancora lì, nudi in mezzo al nulla, terra inesistente, scorci immanenti; sottomarche di occhiali, smartphone samsung, esibizionismo celato e orecchini: è ancora tutto lì, fermo dove non l’avevo (mai) lasciato. Non mi siete (mai) piaciuti, ma ho fame di voi.

Ho deciso: morirò di pizza, morirò di spiaggia, di assalti alle mura e di lecca-lecca. Ma che flusso di coscienza?! È fighettismo infantile. È imperialismo economico della domenica. È che siamo malati cronici.

Solo il tramonto mi salva.

image

 

04 agosto
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Estetica, Anestetica

Aghi di pino,

fotografie,

ossi di seppia,

strade appassite,

alberi visti dal basso.

 

Di caldo si muore,

di domenica si muore,

d’amore si muore.

 

26 luglio
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Dal bosco sul colle

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Inquieti

a prendere il sole

nel bosco,

dove osano le cicale.

Siamo grilli parlanti,

persi e raffazzonati

come i rami

appesi al cielo.

Per me è un miracolo,

per te non so.

di Pietro Raimondi

 
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Crux Desperationis

Di giorni annoiati,

in una radura

ciclica.

 di Paolo Bontempo

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Amico mio,

ci separa del filo spinato.

di Paolo Bontempo

 

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Però lo

leggi dopo

a casa

 

Fotocamera: Olympus OM10

Pellicola: Lomography CN400 35mm

Mozzo (BG)

23 luglio
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Maledizione

Ventate di certezze

prese a calci,

frantumate,

devastate

da due occhi.

 

Non ci capisco

più niente.

 

 

57

02 luglio
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Da dove vieni?

E così, dopo averlo osservato fin dall’orizzonte, Chiara salì sull’autobus. Fatti tre passi intimoriti tra la folla, si sedette nel mezzo in un posto singolo, gli occhi fissi oltre il finestrino, quasi preoccupati, intenti a seguire il dispiegarsi delle cose sui marciapiedi del centro.

“Scusi, sa quando devo scendere per via Togliatti?”. Un fattore esterno all’improvviso aveva interrotto la sua contemplazione del panorama urbano in movimento, un fattore esterno dagli occhi chiari e dai capelli farfugliati, con la bocca leggermente aperta ed uno sguardo stupito, un bel fattore esterno insomma. “Oh, certo, è la mia fermata!”, annuì sorridente Chiara lasciando da parte il fastidio causato da qualsivoglia conversazione con un interlocutore sconosciuto. “Sa cosa?” – e il sorriso divenne risata – “Io credo proprio di essermi già sognata questa situazione. In ogni dettaglio”. Lo sconosciuto fissò lo sguardo per un istante, per poi partecipare alla risata. “Comunque alla prossima siamo arrivati”. “Grazie infinite”. Chiara appoggiò la mano allo schienale del sedile davanti e, alzatasi, si ritrovò di fronte alle porte dell’autobus. Lo sconosciuto era dietro di lei, vicinissimo.

Una volta scesi e percorsi i primi venti metri, Chiara si accorse che l’uomo di via Togliatti le stava ancora dietro. Con fare affannato accelerò il passo verso casa, lanciando occhiate dietro le spalle, nella vana speranza di vederlo imboccare una trasversale. Nessun altro nel raggio di trecento metri: il respiro di Chiara si fece più rapido, sempre più rapido, finché non vide finalmente casa. Era una situazione ansiogena, che spaventava e confondeva Chiara: era veramente malintenzionato oppure era lei a pensare sempre male?

“Scusi!”. Chiara si fermò impalata, con gli occhi spalancati, inquieti “Io non sono di qui, sa, avrei bisogno di una mano…” La ragazza corse per qualche metro, anelante alla porta di casa “…Non mi lascerà qui da solo!”. Come sentì questa frase, Chiara si voltò misericordiosa verso lo sconosciuto. La situazione si era spostata sul polo opposto: era lui in difficoltà, non lei. Un po’ per gentilezza, un po’ per istinto Chiara gli andò incontro: “Dove deve andare di preciso?” “Le sembrerà strano, ma non lo so”.

 

Chiara aveva cominciato ad apprezzare il parco solo dopo gli incontri con l’uomo di via Togliatti. Più che un parco, era un’aiuola fiorita in mezzo ad un’area condominiale, con qualche ragazzino d’atmosfera e delle scritte sui muri. Era un po’ che si vedevano lì in mezzo, per chiacchierare e passeggiare avanti e indietro, circondati dal profumo di gelsomino.
“Verrà a piovere…”, “Avevo notato. Mi piace quando piove a primavera, dopo un po’ ci si stufa del sole” “Hai ragione, nulla è più piacevole di riscoprire le cose che ti circondano”. Chiara sorrise con tutta sé stessa. Non sapeva nulla di quell’uomo. Non conosceva il suo nome, la sua famiglia, dove abitasse, perché era sempre vestito allo stesso modo e, a pensarci bene, non sapeva ancora dove dovesse andare di preciso. Lo vedeva senza orari, senza appuntamenti, senza aspettative, ma aspettava di vederlo per tutto il resto del tempo. Nemmeno lui sapeva nulla di lei: non sapeva quanti anni avesse, non sapeva qual era il suo colore preferito, non sapeva nemmeno della sua malattia. Lui non aveva contatti, telefono, indirizzo o altri riferimenti: semplicemente ogni tanto si calava nella sua esistenza senza preavviso, la liberava dalle ansie e la faceva sorridere.

Che tutto ciò fosse amore non era la sua preoccupazione. Chiara non si curava di cosa fosse l’amore. Naturalmente gli aveva dato la sua definizione da social network, ma ogni volta che pensava le si fosse presentato o lo aveva respinto terrorizzata, o, illudendosi di gioire, lo aveva accettato come nuda apparenza. Invece quest’uomo non appariva: quest’uomo era. Ed era lì per lei. Così trascorrevano i pomeriggi immersi nelle loro passeggiate, che non partivano in nessun posto e che non arrivavano da nessuna parte.

 

Il sole tramontava lento tra i condomini e proiettava nella luce rossa l’ombra della panchina su cui i due erano seduti. I gelsomini ormai saturavano l’aria, rendendo difficile abituarsi al profumo così forte. Chiara, con il volto illuminato per metà ed i capelli raccolti lungo la spalla opposta, interruppe il silenzio religioso del parco: “Ma dimmi: da dove vieni?” chiese innocente e stupenda. Lo sconosciuto, voltandosi per guardarla negli occhi, avvertì un brivido; ma quegli occhi meritavano la verità. “È difficile da spiegare, vorrei che tu lo potessi sapere senza dover passare attraverso le mie parole… Io sto vivendo un lungo viaggio, Chiara. Un viaggio attraverso il tempo. Io vengo da tra vent’anni. Vengo da dopo la crisi, dopo la guerra, dopo la fine della democrazia: saranno dei sistemi elettronici perfetti a governarci, un giorno. Per questo posso incontrarti solo ogni tanto, senza mettersi d’accordo, senza preavviso. Per questo sono sospeso tra te ed il mio tempo.”. Lei tremava, inquieta e sbalordita, con in volto un’espressione satura d’ansia. “Sono il primo navigatore temporale con un preciso incarico governativo.” – continuò – “Devo impedire ai malviventi di commettere gli omicidi per i quali verranno processati nel futuro. Per ora siamo in una fase sperimentale, e, ti giuro, mi piange il cuore al pensiero che possano interrompere gli esperimenti, amore mio…” Chiara, con gli occhi spalancati, stralunati, raccolse da terra una bottiglia di vetro. Avvertiva un malessere gelido, avvolgente, vedeva scomparire nell’ombra del tempo quello che fino ad allora era stato il soggetto della sua serenità. Avvertiva un tempo freddo, lontano, che scardinava il senso del presente e la sua personale tranquillità: il futuro trascinava quella presenza via da lei. Per sempre. Si sentiva confusa, agitata; non poteva accettare questa verità, non poteva, non era razionale, logico, ammissibile. Non oggi. Alzata di scatto la bottiglia la tenne sospesa in aria qualche istante, per poi frantumarla sul collo dello sconosciuto e scagliare ripetutamente i frammenti contro la sua gola. Avvolta dalla luce del sole, con i capelli imbrattati di sangue ed un’espressione incosciente, era bellissima.

 

* * *

 

“MINISTERO DELLA GIUSTIZIA. PROGETTO MINISTERIALE 4991: RAPPORTO. L’esperimento numero 25 di prevenzione criminale tramite buco temporale, eseguito sull’individuo Corazzini Carlo (CRZCRL13R09D612S), al fine sperimentale di impedire la realizzazione del reato di omicidio da parte dell’individuo Golgi Chiara (GLGCHR91C25C573Z), soggetto a disturbo bipolare, è definitivamente fallito. Al venticinquesimo esperimento è stato riscontrato come gli esseri umani in questione non abbiano mai seguito la linea temporale riconosciuta in precedenza, ma la abbiano condizionata con loro caratteristiche, indici di fragilità emotiva, quali: solitudine, inquietudine, aggressività, sofferenza, innamoramento. Al fine di evitare un dispendio economico sovrabbondante si è scelto di archiviare il progetto.”

 

20 giugno
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Notte

Finisce la fiamma,

il fuoco si spegne,

si esaurisce il giorno.

Qualche palpito ,

poi solamente braci

e freddo bastardo

lungo le braccia.

 

Notte che avanza,

cosa mi manca?

Solamente braci.