ora tu
che cosa stai facendo,
in che punto del mondo in
che vento respiri i più piccoli fiati
quando apri la finestra domattina
(che sia già domattina da te?)
in che grande discorso convola
l’aria piena di tue particelle,
nel senso:
come se il tuo organismo avesse
un elementare programma
per editare i dati di salvataggio,
gli elementi dell’ossigeno,
una piccola interfaccia
grafica user friendly
per scomporre e comporre così
che le particelle di fuori non
sono proprio tue, ma c’è
di mezzo il tuo edit,
insomma in quale città
domani farai un upload di anidride?
mi sa che sogni tuo padre malgrado
negli anni gli interventi di varie
capitali e fastidi per tutto lacan,
mi sa che adesso il tuo nome
è su meno display di fissati al liceo
e più intransigenti cv con le lingue
tantissime lingue come
tanti altri padri per fare altre prove,
per più tentativi. tu che sconfinavi
il simbolico e il fallo e dritta la schiena:
ti si fanno più grandi le tette.
softresettavi più volte e crescevo
non molto lontano da casa
nutrivo modeste nevrosi che adesso
con tutto il rispetto mi sembrano
ancora di basso livello dovrei
correre a zonzo nell’erba,
chiamarti e rifare la sfida,
ribattere ancora la lega e magari
saprai che ho sbagliato natura.
non sarà per questo che adesso ti penso,
faccio ancora il tuo nome.
lo faccio con pezzi di vetro
biglie verdi schiacciate
che in pentola fuoco medio sei minuti
diventa vellutata carrefour.
faccio ancora il tuo nome se parlo d’amore
e rido che non sei più te
e più passa il tempo e più
dimentico
la mia versione dei fatti com’è
che ho imparato a difendermi
a stare abnegato sul ciglio degli altri
toccandomi il pipo per poco
e nascondere sotto al quaderno di greco
così che mio padre non possa pensare
le cose che sanno soltanto
la mamma un prete e simone.
ma faccio il tuo nome se parlo d’amore.
non siamo più sani ci sono
tre dispositivi che voglio toccare,
quattro se conti quest’iphone:
ed è solo per questo, solo per
premere tasti grigi sul nero
e vederli rispondere a quello che scrivo,
che chiedo di te allo zero
uno uno zero uno zero.
solo per questo che adesso ti penso:
potermi specchiare nel buio,
nel retro del retina display se
solo avessi staccato il controller
vicino al confine che camminavo,
lo schermo tremava l’input
sarebbe bastato da sè:
purification glitch,
avrebbe tirato una notte,
non sai cosa dico, ti ho persa.
un suono dalla cucina,
un adattatore per terra,
non faccio il tuo nome non riesco
a dirti all’algoritmo di merda.
come marinai siamo
usciti dalla tempesta
e le ruote si sono asciugate
velocissimissime girando
sull’asfalto
davide non lo sento da anni eppure esiste ancora
davide va in olanda e la lombardia
la lascia
cosa lascia davide?
il mcdonalds di segrate rapinato dal tramonto e poi dal temporale e i fulmini paralleli alla strada che squassano il nulla intorno, è questo che lasciamo quando andiamo oppure siamo noi nelle nostre gabbie di faraday a inventare la pianura padana dietro i finestrini bagnati solo per avere qualcosa da cui scappare, in cui restare, da conquistare?
1 Agosto, Sera
Mattia fa la doccia mentre
un piccolo cane abbaia nel nulla,
gli insetti prendono piano possesso
di questo terrazzo
e io non ho mai chiesto
che questa precisa bellezza
davanti a me stesse
come se, da sempre,
insistente esistesse.
e non so davvero cosa
di me
di me succeda
né fino a dove guardare
mentre si carica il cellulare,
fino a dove capita,
capita ancora,
con una profondità diversa,
con il pentimento del tempo
passato
a desiderare meno di questo.
Bruciano tutto qui intorno,
passano le macchine e poi torna
un gran silenzio.
Non chiudo,
aspetto.
E non ho niente e tutto, fuori,
è dentro.
2 Agosto, Notte: amaro
e me ne vado da loro, che a stare lì sto costretto, piuttosto salgo le scalette e resto spiaggiato sul letto, tra i sassi. cammino ormai in mezzo a tutto, e non c’è domanda da porre a tavola senza che riguardi il cosmo, anche alla lontana, anche chissà come. hanno bevuto i ragazzi e anche io, eppure tengo bene, tengo tutto. quando lavo i denti guardo le stelle, quando salgo le scale le salgo chiedendomi dunque quale sia il mio cervino, perché il resto c’è ma passa e lascia silenzio nel senso che penso cosa c’entro, chi chiamo quando ho tempo, chi dimentico e cosa amo. cosa amo al punto da non pensare alla fatica e solo lasciarmi trascinare nella profondità di un origine che più sembra lontano, più davvero è vicino e tu e tu hai quegli occhi che maledico perché hanno dentro lo spazio più vasto del golfo, la postura fottuta e gli sguardi incazzati di noialtri figli di madri cattoliche con i cuori grandi e i colori della campagna tutta bruciata, tanto per cambiare credo che tu possa tornare.
eppure ho bisogno di tutt’altro e non ho paura di dirmelo piano, poco prima di dormire.
3 Agosto, Notte: pallavolo
da ieri sera al pranzo di oggi il direttore ha mosso i polsi sempre più velocemente, tutto il suo corpo stava in quei polsi. poi le mani, le mani e le braccia e l’orchestra che suonava alle spiagge di sassi di sabbia, ai panini e al melone, che bisognerebbe parlare per ore di quello che ci è successo. e poi giocare a pallavolo e andare in mare a litigare perché a questo punto guardami fino in fondo e non pretendere che tutto sia perfetto. è perfetto così, però, e nemmeno c’è bisogno di dirselo. bastano i fianchi della cameriera bionda e i nostri schiamazzi e ancora amari come questi mesi in cui avevo paura di desiderare.
porta a quella madonna il conto di quello che mi ha messo nel cuore, dille che ancora parlo troppo e quando dovrei stare zitto non mi riesco a spiegare e quando dovrei parlare mi giro dall’altra parte e fumo a scrocco. la gola che gratta, la mia voce nelle cuffie, alessandro non risponde.
ci sono dei fari che sparano la luce contro le stelle, sarà il mare o qualche discoteca. poi piomba una stella cadente su di me e i ragazzi ridono sotto e non faccio a tempo a chiedermi che cosa desidero. perché sei tu, e la mia voce nelle cuffie per tutti, e tutto per sempre e tutto adesso. e che la stella mi arrivi addosso.
perché tu arrivi anche se sono stanco e va bene, pensavo ad altro, sei bello che ti fai accarezzare e mi rialzi lo sguardo.
4 Agosto, Notte: per terra
ci sono dei letti per terra che bisogna superare con certi passi lunghi e quatti, ai lati dei materassi per non svegliarli. c’è la macchina di giovanni che non parte mai senza un’altra macchina che ne carichi la batteria. ci sei tu che per amarti prima devo essere abbracciato da tutti, qui, e guardare il filo del mare. poi c’è la luce che si proietta sul muro con le sagome degli alberi quando passano le macchine sullo stradone nel niente, come una lanterna che gira le stelline sul muro per fare addormentare noi bambini pieni di limoncello e drum e altre cose legali.
la mia voce si addolcisce se canto cose vere, credevo non piacesse a nessuno e invece… io e bernardo abbiamo buttato un sacco di immondizia al lato della strada, nella sterpaglia buia. erano tutti piccoli animali, resti di calamari. sebastiano si lava i denti mentre cago e pede viaggia verso la polonia. non ho ancora chiamato bonti ma le mie canzoni non smettono di parlare di lui. e di quel sotto che c’è in tutto. nel mio labbro rotto e nel sangue sempre seguo quel profumo di boh, che l’identità ce l’hanno tolta in promo con l’anno di nascita.
ma tu fammi vedere la tua faccia, ancora in due amici che dormono qui, ancora nel di più di cui sento il profumo in mezzo alle colline, nel mare. io che canto e ancora il canto di cicale.
5 Agosto, Notte: debole
se mi sveglio che ho sognato la tipa, ancora, sbuffo un po’ perché mamma mia non cresci mai! tante cose belle e importanti che dici e poi guardati lì come brami ancora semplicemente quello che non sei stato capace di compiere anni fa perché debole. e ti metti alla prova e cadi, perché debole. scrivi alle altre e non a te, non all’anima tua che hai servito per quattro mesi di dolore. ma non voglio essere forte non voglio, che se no sarebbe scontato amarti stronzetta. così invece mi dice verifica, guarda proprio per te, torna a scannare ogni piccolo desiderio del tuo cuore, che sia sposare una o solo volerle sbottonare la camicetta, tu guarda lì, guardaci e vedrai che non è roba tua che non sono moti tuoi, che appartieni e sei più di tutto ciò che brami, sei filo diretto con il disco del sole in fondo alla baia, con la ferrovia nella sterpaglia e il punto in cui finiscono i binari chissà di fronte a che mare solcato da chissà quali migranti economici.
e così 21 angels scritto sulle mutande di bernardo, 21 angels che non sei solo e nuoti nudo nel mare largo senza bambini terroni, senza dover fare nient’altro che cantare, con mattia lì vicino alla boa, le mosche, amici sconosciuti intorno a un tavolo pieno di birra e pasta e ricotta per te. ti amerò solo se sbottonandoti la camicetta sfioreranno le mie dita tutto questo: persino le spazzature dietro le spiagge, gli scogli che pungono e le cose che grido, persino quando non respiro, persino te.
tutto
è venuto giù
dalla lavatrice,
che girava veloce.
come fosse colpa tua
se cadono le cose,
se trema il pavimento
e sull’occhio sinistro
ho una ciglia più lunga delle altre,
che mi ricorda te
che mi mordevi le mani.
giuro
non ti cerco più
in un altro finale,
in stazione centrale.
luglio non capisce se
davvero basta soltanto
guardare questo posto
nel caldo dell’asfalto
dal punto più alto del mondo
e non cadere giù
e non mangiarsi le mani.
non credo che verrò stasera,
ho una ciglia da tagliarmi a casa,
sarà il caldo, l’aria umida, oppure
che non è mio
questo mio amore.
Più lunga delle altre è stata registrata a Milano la sera del 22 giugno 2017, faceva molto caldo e ho tenuto aperta la finestra che se no bollivo. Il mix l’ha fatto Giorgio Pesenti a Bergamo, nel quartiere di Longuelo, è stato strabello, abbiamo lavorato da mezzanotte alle due del 24 giugno. Il master invece è stato fatto a Rimini da Andrea Muccioli dello Stop Studio e mi sembrava fosse il posto migliore in cui mandare questo pezzo. La copertina del video di YouTube è una foto di Paolo Bontempo, la cover tamarra del singolo è di Stefano Fiz Bottura.
Ce ne andiamo in macchina lasciando la brasca nel vento fuori dal finestrino e le colline gialle d’estate prendono fuoco alle nostre spalle. Bruciano come le tue guance, come i tuoi occhi rossi quando pensi a chi lascia la vita e la casa e gli animali e tutte queste cose bruciano, bruciano nella campagna che mi da alla testa. E quindi ho di nuovo il cuore pieno e di nuovo non capisco il casino di esaurimenti sentimenti che mi trapassano il corpo, ma non sono loro a farmi pieno ora. Ora lo so.
oggi
ti amo
anche se avevo promesso
di non dire più
certe frasi
anche se
a dodici anni
ti ho lasciato
sulle panchine del parco
via Perosi
non chiedermi
cos’è l’amore
non chiedermi sensazioni
diverse
da quelle che si provano normalmente
oggi
va così
dico quello che non volevo dire
per paura degli altri
ti amo
e vaffanculo
di nuovo
scontato come vuoi
fino a domani mattina
fin quando non vedrò
l’alba
insieme a te
o guarderò te
che sei l’alba
preferisco i tramonti
anzi preferisco
guardare
i monti
non so neanche un nome
ma
ti amo
andiamo insieme
un passo ancora
un altro che aspetta
noi
se mi chiedessi
di ritracciare lo stesso percorso
due volte
mi sono dimenticato
di cambiare l’orologio
sintonizzarlo
con il televideo interno
dei tuoi occhi
su grande schermo
vedere tutto il nostro futuro
comprometterlo
cambiando verso il peggio
dove si fuma
si sta male
respiro aria pulita
dopo i 1200 metri
di corsa
per vincere una gara inutile
contro le mie scarpe nuove
ho guidato
ascoltando la tua radio preferita
ho fatto il possibile
per non dirti
ti amo
ma sono sempre qui
non c’è altro
nient’altro
solo le frasi che ti aspettavi
perché non ho voglia
di cercarne altre
ho sonno
forse sono meglio queste
ho sempre sbagliato
io
inseguire la poesia dove
non mi ricordo
una vacanza
riporta
solo
a casa
questa casa
ti amo
perché
sono nato qui
in questo cortile
in quel campetto
non so altro
niente
mi basta questo
finchè tutto questo resta
anche se non è più come prima
lasciami
ballare
con la palla da calcio
lascia che sia io
a prendermi addosso tutto
oggi
ti amo
anche se non vuol dire un cazzo
tu
non parlare
come hai sempre fatto
tornerò qui
se riesco.
Se ritorna uno smatto di Paolo cosa vuol dire? Che si torna indietro? Che si va avanti? Che è Giugno e non c’è un cazzo da fare? Forse?
In realtà ho una specie di carica super mario smash smosh boh. Cioè nel senso appunto infatti su un blocco dello scrittore le annotazioni per il prossimo film di ezio greggio tutto minuscolo. Risollevare la commedia all’italiana e buttarsi nella serie Z che neanche in lega pro che neanche in serie c che neanche stare giù. Allora tu giocavi a pallavolo e io venivo a guardare le tue partite, è ok? Creiamo questi ricordi così i nostri figli saranno contenti. Io lo spero che avremo dei figli, ma quanti ne vuoi, uno due tre o quattro e poi fare la fame ogni santo giorno che piove nevica e tutte le cose invisibili e di merda. Buttato nel mondo antico, rialzato dalla cenere del battesimo, venerdì santo prima di sera suona il campanello d’allarme come un gong e dai il via alla nuova sfida fra stati uniti e stati sparsi. Ma la Russia è ancora una potenza mondiale? Ma il giappone perché ogni tanto salta in aria però non è come trenitalia che per farti male o inciampare o sbattere contro le porte girevoli devi aspettare anni e amare i ritardi. meglio l’argentina unita o il brasile che vince i mondiali di Curling e nuovo sport nazionale e nuovo mito globale e la djmba e il dance floor nuovo di zecca con donne da Rio. Napule, salta di tempo in tempo questo nuovo mondo terzo millennio new age new world no profit no tav yesman yes portiamo avanti le coalizioni di destra sinistra alto basso ticino dove nuotiamo coi braccioli di braccio di ferro gonfiati a spinaci e voglia di vivere sul lato giusto dell’arno, sulla sponda sporca del giorno. Perché si sa, ogni minuto che passa fanno secondi preziosi, ogni anno che se ne va porta con sé nuovi doni a Babbo Natale a un Babbo qualunque ma no, alla povera Madonna neanche un rancio di Sushi, neanche farla rimanere in cinta col curry o il primo baracchino messicano destinato a cani da macello, tipo dietro l’angolo vendono una costata buonissima e già dal nome sai il prezzo. L’inflazione torna quando meno te lo aspetti, come un giornale a forma di aeroplano che si schianta contro le gemelle Kessler e interrompe i balli di una vita, le speranze di una signora per bene che usa saponette usa e getta e sgancia scoregge non appena si indispettisce. Però noi tutte queste cose non le possiamo capire a fondo, noi tutte queste cose dobbiamo guardarle da un bicchiere pieno di vino, che sia Chianti o schiantato contro il parapetto di uno che fa takewondoo ma non guardagna un cazzo e la sera porta pizza kebap stronzate lego takeaway away da ciò che vuoi beby qui non scherziamo col fuocoammare ma solo amare un unico dio e se capita anche zeus afrodite atena e poseidona che si posa a fondocampo e noi chiudendo il diaframma potremmo addirittura respirare aria buona.